Oltre
il velo sottile della ragione ci sono mondi che possiamo solo immaginare, mondi
in cui si muovono creature alla cui esistenza l’uomo civilizzato preferisce non
credere, creature per cui l’uomo è solo una preda. Sono i mostri, le creature
repellenti uscite da inferni spaventosi: gli orchi, gli zombie, i licantropi e,
soprattutto, i vampiri. Oh si! I vampiri esistono e sono là fuori in attesa che
il sole tramonti per uscire dalle loro bare, abbandonare i cimiteri in cerca di
vittime innocenti con cui saziare la loro inestinguibile sete di sangue. I
vampiri cospirano contro l’umanità ignara.
Ma per fortuna esistono anche coloro che si oppongono
alle forze del male in un’incessante lotta contro i temibili succhiatori di sangue,
una lotta che è destinata vedere vittorie, ma anche sconfitte, una lotta che
solo un uomo oserebbe narrarvi.
Quest’uomo
ha un nome e quel nome è Harold H. Harold.
#26
STORIE DI VAMPIRI
1.
Ehm, ogni storia dovrebbe avere un inizio, giusto? Specialmente una che parla di repellenti
creature il cui unico scopo nella loro parvenza di vita è succhiare il sangue
della povera gente. No, non sto parlando degli agenti delle tasse, parlo dei
vampiri, i non morti, i nosferatu, proprio loro e nessun altro. Ma deve essere
un inizio potente, che catturi immediatamente l’attenzione del lettore qualcosa
come… Ecco! Ci sono, l’ho trovato è perfetto….
-Mi scusi Mr. Harold, ma è arrivata Miss Rabinowitz.-
-Eh? Oh certo, la faccia entrare Carol … dopo può andare a
casa -
Preso dalla foga creativa, avevo completamente dimenticato l’appuntamento ed è una cosa veramente imperdonabile, visto che Aurora Rabinowitz è stata il mio sogno proibito da… beh da quando mi riesce di ricordare, in realtà. Aurora è una creatura stupenda, gambe lunghe, seno formoso (una quarta abbondante naturale, direi), una sfavillante chioma rossa e due occhioni azzurri, che ne accentuano l’aria da ingenua ragazza di provincia. Avete mai visto quei vecchi film con Marilyn Monroe in cui lei sembra un’oca? Beh, Aurora è proprio fatta così; il buon Dio, nel dotarla di abbondanza fisica si è scordato di provvedere al cervello, forse lo considerava un optional.
Ma scusate, mi sono appena reso conto di non essermi presentato: mi chiamo Harold H. Harold e sono un noto Produttore Televisivo e, sì, se per caso ve lo steste chiedendo, la seconda H nel mio nome sta per Harold. Sono anche un vampiro, ma questo non ditelo troppo in giro, per favore. Sono certo che il mio nome deve dirvi qualcosa. Avete mai visto quella serie televisiva su un gruppo di cacciatori di vampiri? Merito mio. E quella su un vampiro buono cacciatore di mostri e affini a Los Angeles? Mia anche quella. Ho sempre avuto un debole per le storie horror. Tempo fa ne scrivevo a getto continuo ad un soldo la dozzina e diciamolo francamente non ero per niente un nuovo Stephen King o Clive Barker. Tutto cambiò la notte in cui con la mia auto investii nientemeno che il gran capo di tutti i vampiri, il Conte Dracula in persona. Come avete detto? Dracula non esiste? È solo l’invenzione del segretario irlandese e frustrato di un attore inglese del tardo ottocento? Cavoli se siete informati. Beh le cose non stanno proprio così sapete? Dracula è una realtà. Io e lui ci siamo, ehm, scontrati molte volte ed è sicuro che so di cosa parlo. Ma in fondo lo devo a lui se oggi sono un uomo di successo, infatti… ma sto correndo troppo, meglio non anticipare tutto subito. Riprendiamo il nostro racconto dal punto in cui mi ero interrotto.
Dicevamo che Aurora Rabinowitz non è esattamente un’aquila, ma in fondo non è mai stato necessario che lo fosse. La saluto con molta cordialità
.Mia cara Aurora, benvenuta nel mio regno.-
-È davvero un bel posticino Harold, non somiglia proprio per niente al buco in cui vivevi a Boston.- mi dice lei.
-Non me ne parlare. Quei tempi sono finiti per sempre. Ora sono ricco e famoso. Frequento i posti migliori qui a L.A..-
-Si, sì lo so. Ma perché sei qui a quest’ora di notte? Ho sentito che non esci mai di giorno.-
-Mi conosci Aurora, sono sempre stato un animale notturno.-
.-Beh un po’ animale lo eri, a pensarci bene: qualche volte un polipo con i tentacoli sempre addosso a me ed altre un cagnolino bastonato che faceva tenerezza.-
-Davvero?- esclamo sedendomi accanto a lei sul divano ed allungando un braccio a cingerle le spalle.
-Già proprio come ora.- ribatte lei spostandosi.
La fisso intensamente. Di solito, a questo punto tutte le donne cadono ai miei piedi, tutte tranne Aurora. Per quanto la fissi, lei continua a non reagire. Che sia perché non ha abbastanza cervello? O, magari, dipende dal fatto che i miei occhiali sono sporchi? Bah, è solo un banale contrattempo. Niente fermerà Harold H. Harold dal catturare la sua preda… beh, quasi niente.
INTERLUDIO
In un lussuoso ristorante londinese troviamo un uomo ed una donna che stanno godendosi una cena che sperano tranquilla una volta tanto.
Per Katherine Fraser è un momento di relax di cui sentiva proprio il
bisogno, anche se si sente un po’ a disagio… non è abituata a questo tipo di
locale, non quanto il suo accompagnatore, che sembra invece trovarcisi
perfettamente a proprio agio. Non è
nemmeno sicura di cosa provi per lui.. o lui per lei, se è per questo e la cosa
la turba un po’, deve ammetterlo… o forse sono solo i residui della sua
educazione presbiteriana riguardo al sesso extramatrimoniale, pensa con una
punta d’ironia.
Dopo che il cameriere si è allontanato, Kate riprende il suo discorso.
-È bello
vedere che non ti scomponi quando ti dico che ho incontrato nientemeno che il
Mostro di Frankenstein.-[1]
-Beh, a
parte i vampiri ho incontrato almeno un licantropo, degli zombie e qualche
demone assortito in questi anni…- commenta Frank -… scoprire che il Mostro di
Frankenstein è reale non è affatto sorprendente a questo punto. Piuttosto, che
farà adesso che ha saputo che Deacon Frost è morto?[2]
Tornerà in Svizzera?-
-Non ne
sono sicura. Non ne abbiamo parlato ancora… ma non chiamarlo “mostro”… in
realtà è un uomo molto sensibile ed ha un nome: Adam Dippel.-
-Va
bene. Non volevo certo offenderlo. Dio solo sa se non conosco i veri mostri.-
La cena prosegue tranquilla, poi i
due escono dal ristorante
-Tanto per
cambiare.. piove.- commenta Frank –Beh prenderemo un taxi. Non ti dispiace se
andiamo a casa mia, vero? Ti assicuro che è molto confortevole.-
-Nessun
problema, Frank, proprio nessuno.-
Gioca
pure a fare l’emancipata Katherine, si dice la ragazza, ma perché non riesci a
scacciare la strana inquietudine che provi?
Ovviamente, non ha risposta.
2.
Allora, dov’eravamo rimasti? Ah si,
Aurora ed io, beh, riprendiamo da lì.
-Dunque,
mia cara…- le dico -… ho concepito questa serie di racconti horror, con
protagonisti alcuni famosi vampiri della letteratura e del cinema. Ogni
racconto sarà introdotto da una sorta di “Padrone di casa”.-
-Oh
come… come… quell’inglese grasso di quei telefilm in bianco e nero “Alfie
Witchcook presenta.”- interviene Aurora.
-“Alfred
Hitchcock presenta”. Beh, sì, qualcosa di simile. Mi piacerebbe poterlo fare
io, ma non posso comparire in video.-
-Oh, e
perché?-
-Troppo
complicato da spiegare cara, ma ora proseguiamo prima che il pubblico si annoi
con tutti questi dialoghi senza senso. Ho già pronto il primo episodio, voglio
il tuo parere.-
-Uh, ne
sei sicuro? –
-Ma
certo, ecco comincia così….
“Era una notte buia e tempestosa…”
”.
Chiunque fosse uscito in quel tempo da lupi doveva
avere un buon motivo o non essere del tutto sano di mente Londra è sempre stata una città molto piovosa, ma quella notte
sembrava che avesse deciso di battere ogni record in fatto di precipitazioni… o
almeno questo è ciò che pensava Paul Allen, mentre, sfidando la furia degli elementi,
scendeva dall’auto dopo aver parcheggiato nel giardino dell’elegante villa
georgiana di Westminster appartenente ai Latham. Mentre si avvicinava alla
porta pensava che difficilmente gli era capitato di far visitare una casa a
quest’ora. Di solito la gente preferisce un orario in cui la luce naturale
entra nelle stanze e permette una migliore visione degli interni; questo
cliente, però era stato tassativo per un incontro subito dopo il tramonto, ha
parlato di fotofobia, una sorta d’allergia alla luce del sole. Brutta storia.
Beh, con un tempo simile non si sarebbe visto il sole nemmeno a mezzogiorno.
Con questo temporale era peggio che essere a notte fonda, se non fosse stato
per gli occasionali lampi.
Come a sottolineare i pensieri di Allen un fulmine squarciò
l’oscurità, seguito dal familiare rombo del tuono.
-Il Ssignorr Allen?-
Paul Allen sobbalzò nel sentire quella voce provenire alle
sue spalle e si girò di scatto, per trovarsi di fronte un uomo. Da dove è
arrivato? Si chiese Allen, non ho sentito alcun rumore. L’uomo era magro, molto
magro, alto, le spalle curve, indossava un lungo soprabito nero con il bavero
rialzato ed un cappello, anch’esso nero calato sulla fronte. Il suo volto era
quasi del tutto coperto, a parte gli occhi e quello che sembrava un naso
adunco. Gli occhi, in particolare, colpirono Allen. Era un’illusione ottica o
davvero risplendevano nel buio come quelli di certi animali?
-Lei è… Mister… Murnau?- chiese Allen riprendendo il controllo.
-Ja…. Herr Allen… zono io. Possiamo fetere la casa adesso, ja?-
La voce… a parte l’ovvio
accento tedesco, c’era qualcosa nella sua voce, un tono quasi sibilante, come
se venisse da una gola non umana. Calma,
si disse, Allen, non farti venire strane idee adesso, i supercriminali ed i
mostri non comprano le case, giusto? Aprì il cancello e fece un paio di passi
avanti nel cortile, poi si accorse che il suo cliente era ancora fermo sulla
soglia.
-Non viene?- gli chiese.
-Davvero posso entrare?- chiese l’altro, di rimando.
Allen trovò strana la
domanda da parte di qualcuno interessato a comprare quella vecchia dimora, ma
si ritrovò a rispondere quasi istintivamente:
-Ma… certo che può entrare.-
L’uomo fece una risatina
che ad Allen ricordò più uno squittio, poi oltrepassò il cancello e prima che
Allen se ne rendesse conto aveva superato il vialetto ed era di fronte al
portone d’ingresso.
Allen sbatté gli occhi: non l’aveva quasi visto muoversi. Era un
superumano come quei pazzoidi in costume che circolavano negli ultimi tempi?
Meglio non stare a pensarci troppo, dopotutto la percentuale era sempre la
stessa, chiunque la pagasse.
Nel passare vicino all’enigmatico Mr. Murnau,
Allen ebbe modo di vedergli le mani, pallide, lunghe, quasi scheletriche e con
unghie lunghissime, praticamente degli artigli, e la cosa aumentò il suo
disagio.
Una volta entrati, Allen
fece visitare al cliente l’intera casa, una dimora vittoriana che non avrebbe
sfigurato in un catalogo di case infestate e di cui i proprietari sembravano
ansiosi di sbarazzarsi. Giusto il tipo di dimora adatta a quel tipo, si ritrovò
a pensare Allen e quasi represse una risata. Come si aspettava, l’uomo, alla
fine, si dichiarò soddisfatto, forse anche troppo soddisfatto.
-Perfetta… è proprio quel che cercafo… la prendo.-
-Magnifico… allora, domani può venire in agenzia a firmare il
contratto?-
-Questo non è un problema, no. Intanto posso venire ad abitarci da
subito?
-Ora?- esclamò stupito Allen –Ma… la casa è quasi vuota e non…-
-Come ho detto… questo non è un problema, per me… mi stanno già
portando quanto mi occorre.-
Murnau sbatté le mani
adunche ed ecco che nella casa entrarono due persone che trasportavano
qualcosa.
Non fu solo il loro
aspetto pallido ed esangue od il loro sguardo assente a colpire Allen, ma
quello che stavano trasportando, una bara di legno decorata e con sopra inciso
un nome: Graf Orlok.
-Il mio luogo di riposo.- disse semplicemente l’altro.
-Cosa? Ma… ma
-Dove altro dovrebbe riposare un non morto…- commentò l’uomo mentre si
sfilava il cappello e si sbottonava il soprabito. -… se non nella propria bara?
Per la prima volta Paul Allen vide il volto del
suo cliente... lo vide... e gridò.
Allen riaprì gli occhi e si guardò
attorno. L’ultima cosa che ricordava era di aver guardato l’orribile volto del
suo cliente… ricordava i suoi occhi rossi come il fuoco che si puntavano sui
suoi… poi più niente, sino ad ora. Quella dove si trovava era chiaramente la
cantina della casa ed il rumore che sentiva… la pioggia e… qualcos’altro. Sul
pavimento c’era la bara di quel terribile essere… la sua mente si rifiutava
ancora di chiamarlo col giusto nome…
-Sono lieto di vederla sveglio… Mr. Allen.-
Sulla soglia stava proprio
lui, l’uomo che si faceva chiamare Murnau, anche se, Allen lo comprese adesso,
non era il suo vero nome. Ora poteva di nuovo vederlo, libero dalla sua
bardatura: completamente calvo, il volto affilato e pallido, un aspetto da
cadavere, i canini lunghi, affilati e sporgenti, le orecchie lunghe ed a punta,
un insieme di tratti che facevano somigliare la sua faccia al muso di un ratto
e suscitavano un istintivo ribrezzo.
-Lei è… è...- cominciò a
dire Allen.
-Un vampiro, Ja.- fu la risposta –In Transilvania veniamo chiamati
Nosferatu e nella mia lingua natia Nachzehrer, ma che
importa un nome? Io una volta ero conosciuto come Conte Orlok, ad esempio.- la
creatura sorride orribilmente –Mi piace la sua patria, non è come la mia natia
Germania, troppo fredda ed inospitale. Credo che mi ci tratterrò per un pò.
-Perché mi dice questo? Che ne vuol fare di
me?-
Un
altro sorriso:
-Di lei? All’inizio avevo pensato di
servirmi di lei come pasto, di nutrirmi del suo sangue caldo e vitale, ma poi
ho cambiato idea. In questa città non mancano le prede ed io devo occuparmi
anche dei miei piccoli amici… anche loro
hanno diritto ad un ricco pasto, non crede?-
Il
rumore che Allen aveva sentito prima si fece più forte, ora poteva anche
riuscire ad identificarlo
-Amici…?- chiese.
-Non lo sa, Herr Allen? Noi Nachzehrer, noi
Vampiri possiamo comandare ai lupi, i cani, i ragni, gli insetti, i pipistrelli
e... i topi.-
La
porta della cantina si richiuse, proprio mentre Allen riconosceva il rumore di
sottofondo per quello che era: lo squittio di decine e decine, forse
addirittura centinaia di topi che, poco alla volta, si stavano riversando nella
cantina.
Paul
Allen li vide avanzare verso di lui, rimanendo paralizzato dal terrore, poi,
quando il primo dei micidiali animaletti lo morse, si riscosse, ma ormai era
troppo tardi.
Non
riuscì nemmeno a raggiungere la porta, che fu letteralmente sommerso dai topi.
Quanto a lungo durarono le sue urla, nessuno può dirlo, perché non c’era
nessuno ad ascoltarlo… nessuno tranne i topi stessi.
-E questo è
tutto mia cara Aurora.- termino di raccontare.
-Brrr. Tu hai
davvero una fantasia malata Harold.- commenta la ragazza.
-Oh questo è
niente. Vuoi sentire un altro racconto?-
-Ho forse
scelta?-
INTERLUDIO
Il nome di questa donna è Angel O’Hara. Come denunciano sia il suo
nome, che la sua chioma rossa, è irlandese ed è in Irlanda che viveva sino a
poco tempo fa con suo figlio Ted, finché un richiamo irresistibile non l’ha
spinta a varcare lo stretto braccio di mare che separa l’isola verde dalla Gran
Bretagna. Tanto tempo fa si era formato un legame tra lei e Lilith, la figlia
di Dracula. In un attimo di vivida collera Angel aveva desiderato la morte di
suo padre, che si opponeva alla sua relazione con Ted Hannigan, e tanto era
bastato per richiamare Lilith dalla tomba e reincarnarla nel corpo di Angel.[3]
Per parecchi mesi, quasi per tutto il tempo della sua gravidanza,
l’inconsapevole Angel e la principessa vampira avevano condiviso lo stesso
corpo, poi uno stregone zingaro le aveva finalmente separate.[4]
In qualche modo, però, le due donne erano rimaste legate ed ora Angel ha il
discutibile privilegio di essere sotto la personale protezione di Lilith
stessa. Ora che la figlia di Dracula è succeduta al padre come Signora dei
Vampiri, la posizione di Angel ha assunto un nuovo significato e la ragazza
scoprirà anche troppo presto quale e non sarà una scoperta piacevole.
3.
Ancora una volta mi rivolgo alla
carissima Aurora:
-Dunque,
carissima Aurora, pronta per il secondo racconto?-
Lei scuote la sua bionda testolina e
sbatte gli occhioni:
-Se proprio
devo…-
-Molto bene…
dunque tutto comincia in un posto molto lontano da qui ed è proprio il caso di
dire che…
“Era una notte buia e tempestosa…”
”.
Cecilia Harrington-Benedict non poté fare a meno di
notare la donna che era appena entrata nel locale e nemmeno le sfuggì lo
sguardo del suo accompagnatore al suo passaggio. In effetti, la nuova arrivata
era indubbiamente bella, ma di una bellezza particolare: la sua carnagione era
pallida, quasi bianca, i capelli che le ricadevano sulle spalle nude erano di
un castano molto scuro con strani riflessi dorati, ma quello che colpiva
realmente erano gli occhi, grandi, neri, eppure con strani riflessi. A Cecilia
fecero venire in mente le braci ancora ardenti di un camino, strano paragone.
La donna indossava un abito nero che le inguainava il corpo snello e dalle
forme evidenti ed armoniose; era lungo sino al ginocchio, ma aveva spacchi
laterali che arrivavano sino alle cosce, la scollatura era generosa, ma non
volgare. Che possedesse un notevole fascino era indubbio: la folla si apriva al
suo passaggio e gli uomini e perfino le donne presenti non potevano fare a meno
di voltarsi a guardarla. Cecilia stessa si sorprese nel constatare che non
riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La vide guardarsi intorno, come se
stesse valutando i presenti, e poi dirigersi verso il bar. Scambiò poche parole
con una ragazza ed insieme si diressero verso una zona buia dove Cecilia le
perse di vista, ma non prima che la donna misteriosa si voltasse nella sua
direzione, come se avesse percepito il suo sguardo e lo ricambiasse. Durò solo
un istante, poi entrambe le donne scomparvero alla sua vista.
Peccato per i maschietti presenti, pensò maliziosamente
Cecilia con un sorriso, ma la signora ha altri interessi, a quanto pare.
Il resto della serata passò senza storia e Cecilia non
rivide la misteriosa sconosciuta se non brevemente, più tardi… sola.
Ripensandoci si chiese perché la cosa
dovesse turbarla, poi cercò di non pensarci. Respinse le avances del suo
accompagnatore adducendo un mal di testa che non provava per niente. La verità
è che non aveva semplicemente voglia, anche se non sapeva dire perché. Mise in
moto la macchina e per un breve istante i fari illuminarono la sagoma di un
gatto nero che fissò l’auto prima di scomparire nelle tenebre. Era molto grosso
per essere un gatto, pensò Cecilia, era
quasi più come una piccola pantera…. e gli occhi… le ricordavano quelli della
donna… Ma no, cosa le veniva in mente? Tutte sciocchezze. Cecilia accantonò
ogni pensiero al riguardo… o almeno ci provò.
Il sonno non venne facilmente e quando alla fine venne, fu
turbato da immagini di gatti neri con gli occhi rossi che brillavano nell’oscurità
e della donna del locale. Al risveglio Cecilia si sentiva stremata, come se
avesse corso per tutta la notte. Fare una doccia servì a rimetterla in sesto,
ma non a far sparire quel senso d’inquietudine che provava sin dalla sera
precedente.
Anche quando giunse al luogo d’incontro con i suoi amici,
in uno dei locali notturni più famosi ed alla moda di Londra, Cecilia
continuò a sentirsi come se qualcosa
fosse fuori posto e lei non riuscisse a capire cosa. Udì a malapena quel che le
stava dicendo la sua amica Jennifer Rayburn.
-… ne hanno trovata
un’altra, sembra.-
-Un'altra… cosa?- le
chiese Cecilia.
-Ma te l’ho appena
detto.- replicò sorpresa Jennifer -…Sei davvero distratta oggi, Hanno trovato
un’altra ragazza morta, pare che sia la terza questa settimana.-
-La… terza?- c’era
qualcosa di familiare in quello che Jennifer le stava dicendo, ma lei non
riusciva a focalizzarlo.
-Ma si, ora non dirmi
che non te lo ricordi: la prima l’hanno trovata morta
nei bagni della
discoteca dov’eravamo sabato scorso, È stata una cameriera a trovarla, poi è
arrivata una specie di squadra speciale da Scotland Yard e l’ha portata via.
Secondo me è una specie di maniaco… ho sentito dire che le vittime erano
dissanguate.-
Cecilia aveva l’impressione che la stanza le girasse
attorno e di sentire una pulsazione al petto. Cosa aveva detto Jennifer?
-Sabato…- mormorò la
ragazza –Ma… che giorno è oggi?
-Che razza di domande
che fai, sei certa di sentirti bene? Oggi è venerdì, naturalmente.-
Venerdì. Aveva perso sei giorni della sua vita. L’ultimo
suo ricordo sicuro risaliva al sabato notte. Aveva sognato la donna misteriosa
e poi… niente… si era svegliata, si era
fatta una doccia ed era andata al lavoro, senza nemmeno chiedersi perché dovesse
se farlo se fosse stata davvero domenica e senza nemmeno domandarsi perché, se
si era svegliata da poco fosse il tramonto inoltrato quando era uscita di casa.
Improvvisamente
alzò gli occhi e lo vide… sul davanzale della finestra: un enorme gatto nero dagli
occhi rossi e sembrava proprio guardare
lei.
Cecilia si alzò di scatto e si precipitò in bagno. Sperava
che un pò d’acqua fredda l’avrebbe aiutata, ma non servì a niente. Alzò gli
occhi verso lo specchio sopra il lavandino e ciò che vide le strappò un grido….
O meglio fu ciò che non vide a farlo: non vide la propria immagine riflessa…
era come se lei non fosse davvero lì.
-Ora ricordi, verò?- la
voce alle sue spalle era quella di una donna giovane dall’accento tedesco o
austriaco, ma sembrava venire dal nulla, perché anche la sua immagine non era
riflessa nello specchio.
Cecilia si voltò lentamente e mentre lo faceva i ricordi
che aveva soppresso le tornarono in mente come un torrente impetuoso.
Era entrata nel bagno della discoteca ed aveva visto la ragazza, la
stessa che aveva visto in compagnia della misteriosa straniera poco prima. Era
riversa sul pavimento, la camicetta strappata, i seni scoperti e su di essi due
forellini da cui colava un rivolo di sangue. Stava per gridare, quando davanti
a lei era apparsa quella donna misteriosa che prima l’aveva tanto colpita ed
aveva detto una sola parola:
-Silenzio!-
E Cecilia aveva obbedito. La donna
l’aveva squadrata valutandola
-Sei molto
bella.- aveva concluso –Sei degna del dono. Lo desideri?-
Cecilia non aveva nemmeno riconosciuto
la sua voce mentre sussurrava:
-Si.-
E l’altra aveva sorriso scoprendo due
candidi canini appuntiti, poi con incredibile velocità le aveva scoperto il
petto ed aveva affondato i canini proprio nell’incavo tra i seni. Il dolore era
durato poco, sostituito quasi immediatamente da una nuova sensazione che lei
poteva descrivere solo come piacere. Poi la sconosciuta si era, a sua volta,
scoperta il petto e con un’unghia affilata come un rasoio si era praticata una
rapida incisione dei seni, poi aveva spinto la testa di Cecilia proprio lì
obbligandola a leccarla e quella era stata la prima volta che Cecilia aveva
assaggiato il sapore del sangue umano… e le era piaciuto.
L’onda dei ricordi proseguiva
inarrestabile, mentre Cecilia si rivedeva uscire dal bagno e tacere coi suoi
amici su quanto aveva visto e fatto. Più tardi, quella stessa notte aveva fatto
entrare la donna nella sua camera e si era lasciata andare ai suoi abbracci ed
ai suoi piccoli morsi fino ad abbandonarsi esausta. Poco prima di perdere
conoscenza le aveva chiesto:
-Chi sei?-
E lei sorridendo le aveva risposto:
-Puoi
chiamarmi Carmilla.-
-Carmilla….-
aveva ripetuto lei.-
Quando si era risvegliata tutto le
sembrava diverso: come se i suoi sensi non fossero più gli stessi. La donna,
Carmilla, era accanto alla finestra. Le tese la mano e disse:
-Vieni è
l’ora della caccia.-
La caccia. Eccole ora per le strade,
Cecilia si sentiva le membra più flessuose e si sentiva anche più agile, e
molto, molto più veloce. Dal profondo dell’inconscio le sovvenne una frase: “I
morti viaggiano veloci” Non riusciva a ricordare dove l’avesse sentita, poi
smise di pensarci, aveva visto una ragazza, la sua preda di quella notte.
Cecilia spalancò gli occhi.
Ora sapeva finalmente quel che in qualche modo aveva rimosso: era una
vampira, una non morta… aveva ucciso per
nutrirsi e l’avrebbe rifatto ancora. Per questo non ricordava i particolari del
suo risveglio: cercava di mantenere una parvenza di normalità, di illudere se
stessa, ma ora non poteva più farlo, la sua normalità era svanita, ormai, nelle
lunghe giornate passate in catalessi nel buio della sua stanza e nelle notti di
caccia per procurarsi il sangue. Sentì le mani della sua capobranco sfiorarle
le spalle e sussurrarle con voce dolce:
-Vieni.-
E le obbedì senza discutere, perché ormai le apparteneva.
-E questo fu il fato della giovane vampira.- termino di raccontare –Beh che ne dici?-
-Mmm ho letto di meglio quando lavoravo per “True vampire stories”.- risponde Aurora.
-Sei davvero incontentabile, mia cara, proviamo con
quest’altra storia…-
INTERLUDIO
Il giovane Arthur Holmwood siede
nello studio del padre e guarda un vecchio libro, tramandato da
generazioni in famiglia: il resoconto
del primo scontro tra i cacciatori di vampiri radunati da Abraham Van Helsing e
Dracula. Sembra passata quasi un’eternità da quando lo ha mostrato a Penelope
Clayborne. Pensavano di essere in gamba, di poter dare la caccia a Dracula e
sconfiggerlo. Adesso Dracula è morto, ma anche la madre di Arthur e Penelope è
diventata una vampira. Cos’hanno davvero ottenuto lui e gli altri cacciatori di
vampiri? A cosa sono serviti i loro sforzi? Vale davvero la pena di combattere
una battaglia senza fine contro un nemico più forte? Una volta avrebbe risposto
con sicurezza, ora non ha più certezze.
4.
Guardo Aurora e tiro fuori il mio
miglior sorriso, stando bene attento a non mordermi accidentalmente con i
canini superiori, non sapete quante volte mi capita.
-Allora?- le
chiedo.
-Allora cosa?- mi chiede
lei, di rimando.
-Ben… voglio dire… cara
ragazza… che ne dici di entrare nel mio staff di produzione?-
-Oh mi piacerebbe, certo.
E posso scrivere qualcuna delle storie di questa serie che si chiamerà…-
-Semplicemente: “Storie di
vampiri”. Un titolo semplice ed efficace. Quanto a scrivere… beh io avevo
pensato a te come hostess del programma, ma… beh possiamo discuterne, se vuoi,
anche qui e adesso. Ho giusto fatto portare uno champagne originale dei vigneti
californiani.
-Oh, mi piacerebbe, ma non
posso, Harold: ho conosciuto un attore ieri, un ragazzo tanto carino e pensa di
potermi aiutare…-
Si certo, aiutarti a toglierti il vestito, me lo
immagino. Ancora fisso Aurora negli occhi.
-Sicura di non vuoi
restare?- insisto.
-No, devo proprio andare.
Decisamente, devo ricordarmi di pulire gli occhiali.
Mentre la vedo uscire, la mia mente partorisce l’ultima mia più geniale storia.
“Era una notte buia e tempestosa…”
Aurora Rabinowitz stava tornando verso casa. Questo delizioso
esemplare di essere umano di sesso femminile, il cui lavoro era quello di
Segretaria di Produzione, aveva passato buona parte della serata a discutere le
ultime sceneggiature con il Capo del suo studio, un tipo bislacco, ma
simpatico. Un lavoro ingrato, ahimè, ma Aurora era una lavoratrice seria. Madre
natura aveva fatto un gran bel lavoro con il suo fisico: le sue misure vitali
erano le stesse della Venere di Milo, semplicemente perfette. Ma se Dio l’aveva
dotata di abbondanza fisica, aveva trascurato purtroppo il reparto cervello. In
parole povere, la dolce Aurora era la classica oca giuliva. Ammettiamolo, però,
non era esattamente il suo cervello quello a cui pensavano gli uomini che
avevano la fortuna di conoscerla.
Dunque, quella notte Aurora stava
tornando a casa dopo aver fatto tardi ed aver perso praticamente ogni mezzo
pubblico della città, essersi smagliata una calza ed aver rotto un tacco e… oh
sì, stava cominciando a pensare di aver commesso un errore a non avere con se
un ombrello proprio la sera in cui il cielo sembrava aver deciso di smentire il
vecchio proverbio per cui non piove mai nella California Meridionale. A
pensarci bene, non aveva mai visto un temporale da quando aveva lasciato
Boston, Massachussetts per l’assolata Los Angeles, evidentemente le disgrazie
non vengono mai da sole.
. C’è da sorprendersi, quindi, che fosse ancor più
distratta del solito, quando una figura uscì dalle tenebre per ghermirla? I
suoi lunghi canini luccicavano sinistramente sotto la pioggia ed il vampiro si
avvicinò a lei pronto ad affondare quelle zanne nel suo eburneo collo…. E
scivolò miseramente su una pozzanghera piombando ai piedi di una stupefatta
Aurora, che esclamò:
-Harold!
Ma cosa stai facendo qui? E come ci sei arrivato prima di me?-
Harold H. Harold, geniale scrittore e
produttore hollywoodiano, nonché vampiro
a tempo perso, si rialzò massaggiandosi le natiche e maledisse il fato
avverso che lo avrebbe costretto a ricorrere ancora una volta alla lavanderia.
Era già la terza volta questa settimana ed eravamo solo a martedì.
.Uh…
ehm... – balbettò –Salve Aurora, posso salire da te?-
Come avrebbe potuto l’indifesa Aurora
opporsi all’implacabile volontà di Harold H. Harold a cui nemmeno la più pagata
star di Hollywood aveva saputo dire di no? Stranamente ci riuscì:
-Non
sono sicura che sarebbe una buona idea Harold.- rispose –Lo sai che aspetto
visite.-
Naturalmente
Harold si rese conto che il suo sguardo ammaliatore aveva maggiori probabilità
di riuscita se le lenti degli occhiali non fossero state appannate. Un
inconveniente momentaneo. Aurora era sua, doveva solo rendersene conto. Non
sarebbe stata un’impresa facile.
Uhm, a pensarci bene, non è che l’inizio sia dei più soddisfacenti ed il nostro... ehm... eroe non ci fa una bella figura. Cosa? Si, lo so che essendo il protagonista del racconto non dovrei commentarlo, ma in fondo il racconto è mio e lo scrivo come mi pare.
Allora vediamo un pò: ora direi che possiamo tornare al nostro Harold ed
ai suoi tentativi con la bella Aurora. In questo caso, permetteteci di usare il
vantaggio concesso agli scrittori e saltare qualche passaggio per andare
direttamente a circa una mezz’ora dopo, nell’appartamento della suddetta
Aurora, mentre lei si sta facendo un bel bagno caldo. Quanto al motivo per farne
uno in questo momento con Harold nella stanza accanto, beh credevo che fosse
chiaro. Abbiamo bisogno di un ammiccamento erotico in questo racconto, che
diamine.
Harold
H. Harold aspettava, seduto in una poltrona concepita per qualcuno che fosse
almeno di corporatura doppia della sua, chiedendosi dove
Ma
quanto ci stava mettendo in quel dannato bagno? Harold decise che non sarebbe
stata una cattiva idea dare una sbirciatina, magari trasformandosi in nebbia e
scivolando per il buco della serratura. Harold sei un disgraziato guardone, si
disse, ma scacciò il pensiero alzandosi, dopotutto che male poteva fare se dava
un’occhiatina non visto a quell’appetibile creatura e poi, chissà… magari
un’azzannatina sul collo o … più in basso…
Stava
ancora fantasticando quando la porta del bagno si aprì improvvisamente e lui se
la prese in piena faccia, rotolando ingloriosamente sul pavimento, mentre
Aurora, avvolta in un lungo telo di spugna, esclamava:;
-Harold, cosa ci fai seduto sul pavimento?-
Alt! Stop! Basta Così. Questa dovrebbe una seria raccolta di storie
dell’orrore con protagonisti dei Vampiri. Che diavolo è questa scemenza degna
di una sitcom?
Aspetta, ma certo… ecco quello che
mi mancava: una bella sitcom di ambiente horror, non c’è stato più niente del
genere dall’ultima replica de “
Non posso aspettare: devo subito
buttar giù il primo script finché la mia mente è ancora un vulcano di idee… ma
prima… mi ci vuole un po’ di ristoro:
-Carol…
è ancora lì? Può venire un attimo in ufficio? Sa… ho un po’ di sete.
NOTA DELL’AUTORE
Fine del più anomalo episodio di
questa serie. Dopo 25 episodi dove terrore e tensione l’hanno fatta da padroni,
ecco un episodio assolutamente demenziale e senza né capo, né coda, compresi i
due raccontini horror con protagonisti due vampiri della tradizione letteraria.
Ovviamente, dal prossimo episodio si ritornerà sui binari consueti. Ed ora un
minimo di note:
1) Harold H. Harold (
2) Aurora Rabinowitz, sogno proibito di Harold e già segretaria della casa
editrice per cui lui lavorava, è un concentrato di ingenuità e sensualità che
la mette alla pari delle più famose svampite della tradizione letteraria,
cinematografica e televisiva di cui Marilyn Monroe è stata, forse, l’esponente
più significativa.
3) Dimenticavo di dire che entrambi i personaggi sono creazioni di Marv
Wolfman & Gene Colan, a cui io ho reso un pessimo servizio. -_^
4) Ovviamente la citazione di un telefilm di successo dedicato ad una
squadra di ammazzavampiri e di un altro dedicato alle imprese di un vampiro
buono con base a Los Angeles, se da un lato strizzano l’occhio alle imprese
della nostra squadra di uccisori di vampiri e di Hannibal King, che harold ha
personalmente conosciuto; dall’altro alludono ovviamente a due telefilm culto
dei tempi moderni che non perdo tempo nemmeno a citare, tanto ci siamo capiti
perfettamente, -_^
5) Quanto al nome che il Conte Orlok usa nel racconto a lui dedicato:
“Murnau”, è, ovviamente, un rimando al nome di Friedrich Wilhelm Murnau, il
geniale regista espressionista tedesco che nel 1919 realizzò il film
“Nosferatu” di cui Orlok era, per l’appunto, il protagonista.
6) Qualcuno penserà che ho barato all’inizio del racconto su Carmilla. A
quel qualcuno consiglio di rileggersi attentamente le sequenze iniziali ed in particolare
questo passaggio: “Cecilia non rivide la misteriosa sconosciuta se non
brevemente, più tardi… sola” in fondo è quel che è accaduto… vero? -_^
Nel prossimo episodio torniamo alle nostre solite atmosfere: Dracula è
morto, il suo impero del male è stato smantellato e sua figlia Lilith si
ritrova ad essere Regina delle Macerie, ma può questo bastare a fermare chi ha
vissuto per oltre 500 anni?